Keplero
Hai stretto l’universo con cerchi invisibili sfidando il caos del firmamento, un dio clemente che non lancia dadi ma tesse orbite come fili di seta, un arazzo di ellittiche, silenzi e fuoco. Lì, nel buio, hai inciso leggi senza scalpelli, solo con la mente. Eppure tremavi, uomo fra gli uomini, mentre Saturno cantava le sue note basse e Marte si accaniva nel fuggire il tuo abbraccio. Non eri solo astronomo visionario e servo ma anche alchimista dell’infinito che piegò l’arroganza dei cerchi perfetti, rendendo divina l’imperfezione. Un’armonia rotta, come il respiro dell’uomo quando osserva il cielo e si specchia nella sua fragilità. Hai venduto il tuo genio alla fame e il tuo cuore alle stelle, scrutando un volto superiore nelle equazioni disegnate dalla luce. Ti vedo ancora, gli occhi arrossati da notti insonni, a calcolare il destino dei mondi che non avresti mai calpestato. E mentre la Terra ruota, docile e sorda, le tue leggi cantano ancora. Strofe mute che risuonano nelle vene...