Recensione [BRAND NEW]: "LÀ DOVE FINISCE IL MONDO" DI OLIVIA BALZAR (Ensemble Edizioni) > di Alessio Miglietta
L’alba come simbolo e ossimoro
Le poesie si aprono su un paesaggio crepuscolare, dove “tutto quello in cui credo è crollato”. L’alba, ricorrente simbolo di speranza, viene qui caricata di un’ambiguità profonda: è promessa di rinnovamento ma anche ansia per una rinascita incerta, una metafora che attraversa tutta l’opera. L’autrice scrive di un dialogo costante con l’assenza e la morte, mentre “conta a ritroso i passi fino a diventare alba”, un atto che segna tanto un ritorno quanto un avanzamento verso l'inevitabile.
Un mondo a pezzi e il naufragio dell’identità
Le immagini del relitto, del crocicchio e del sentiero lastricato di specchi riflettono una condizione esistenziale frantumata. “È tutto nelle mie mani, ma ho mani bucate piene di sogni”, confessa l’autrice, evocando una dolorosa impotenza. Le mani che perdono e distruggono diventano metafora di un’umanità fragile, incapace di tenere insieme i pezzi della propria esistenza. Questa frammentazione culmina nel naufragio, un’immagine che Balzar trasforma in una catarsi poetica: “le schegge le ha raccolte il mare”, suggerendo che ciò che viene perso può trovare nuova forma, seppur in una dimensione diversa.
Un’apocalisse personale e universale
Le poesie più visionarie sfiorano i confini del fantastico, immergendoci in scenari di devastazione e rivelazione. “Scheletri in marcia coperti di strass avanzano tra le macerie”, scrive Balzar, tratteggiando un’apocalisse tanto personale quanto cosmica. L’umanità è ridotta a “formiche indifese”, un punto nell’universo che osserva, impotente, il mistero della vita e della morte. Questo senso di piccolezza non è mai puro nichilismo, ma una sfida: accettare l’arcano, convivere con l’inconoscibile.
Un dialogo con il dolore e la solitudine
L’opera trova la sua forza nell’accettazione del dolore come compagno inevitabile. Balzar scrive: “Ho addomesticato il dolore fino a che mi ha sorriso”. Questo rapporto intimo con la sofferenza non è masochismo, ma una forma di conoscenza, una chiave per decifrare l’essenza del mondo. La solitudine diventa, quindi, non un limite ma uno spazio fertile dove “gli occhi si abituano al buio” e si scorgono “il fondo e l’origine di tutte le cose”.
Una poetica dell’abisso e della rinascita
Uno dei temi centrali è l’attrazione per gli abissi, intesi sia come luoghi fisici che come metafore dell’interiorità. L’autrice descrive con precisione quasi scientifica gli abissi marini, popolati da “creature di luce, esoscheletri trasparenti, mostri fluorescenti”. Questo universo subacqueo è un rifugio dalla luce accecante del mondo esterno, uno spazio dove “non c’è spazio per altro, solo vita, morte e tutto ciò che è eterno”. In questi versi si percepisce un bisogno di distillare l’essenza della vita, spogliandola del superfluo.
Là Dove Finisce Il Mondo è un’opera che vibra di intensità emotiva e di un’inquietudine filosofica rara. Olivia Balzar intreccia la fragilità umana con una visione cosmica, fondendo il personale con l’universale in versi che sanno essere al contempo brutali e luminosi. La sua poesia, densa di immagini evocative, ci conduce nei luoghi più oscuri della psiche e del mondo, ma non senza offrirci una forma di redenzione. È un libro che parla agli abissi di ciascuno di noi, invitandoci a guardarli senza paura e a scoprire cosa si cela là dove finisce il mondo.
AM
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