HAI MAI PENSATO DI FARE UN SECONDO FIGLIO? di Alessio Miglietta
Ricordi quando, a trent’anni, quello scatto di follia sembrava epico? Allora sì, l’idea di un figlio sembrava romantica: pubblicare poesie, fare feste, imparare a suonare il pianoforte in salotto. Oggi, ripenso a quelle utopie come a pellicole d’epoca: illustrate, ma senza alcun sound. Perché a quarant’anni, con la schiena già che protesta come un vecchio motore diesel, avere un neonato numero due è un atto di masochismo supremo—un tuffo nel buio senza salvagente.
C’è qualcosa di perverso nell’idea di ricominciare da zero quando tutti i tuoi amici stanno già programmando weekend nella spa o meditazioni trascendentali. Ma tu? Tu stai qui a tenere sveglio un neonato che urla come se avesse appena visto il tuo conto in banca dopo le spese di asilo. “Sì, papà sono sveglio”—sembra dire—“Ho controllato: ho fame, ho caldo, ho freddo, e ho intenzione di renderti pazzo fino al 2030.” E tu, pensionato mancato, ti trascini come un reduce che parla col neonato in toni da barista stanco: “Ehi piccolo Hitler, senti un po’, resisti ancora cinque minuti senza piangere, così papà può vedere almeno un fotogramma di partita in tv prima di cadere in catalessi.”
L’ironia più nera? Prevedi già il funerale delle tue notti: “Qui riposa il mio sonno, vittima predestinata di un piedino agile come un’anguilla—non scherza: se mi sveglia lui, posso far pace con la tomba.” E tuo figlio maggiore, osservando come ti muovi, sembra già prepararsi al master in “Come farsi mantenere a vita dal povero genitore disfatto.” Ma non importa, perché la triste verità è che, a volte, nonostante tu sia ormai un fossile ambulante, quel sorriso di neonato è capace di farti dimenticare che il tuo corpo scricchiola più di un parquet secolare.
Puoi abbandonare ogni proposito di leggerezza: la tua vita ora è in modalità “survival estremo”. Non parlo di sopravvivere a un’alba africana, ma al furto barbuto di ore di sonno e di qualsiasi attimo di pace mentale. “Sii grato,” dirà qualcuno col bicchiere di Chardonnay in mano, “è la tua benedizione.” Benedizione, sì, come le cicatrici profonde lasciate da un bisturi: ti cambiano, ti spogliano delle illusioni, ti avvolgono in una realtà dura ma vera. E tu, saggio quarantenne, ti chiedi: «Non era meglio dedicarmi al giardinaggio zen o almeno a un hobby normale, tipo collezionare francobolli?»
Invece no, hai voluto questa bilancia spropositata di lacrime e sorrisi, di latte e pannolini, di progetti di vita spappolati sull’altare del “riinizio assoluto”. Così, quando guarderai quel secondo figlio che dorme beato—mente ignara del delirio che hai divorato per averlo qui—ti inginocchierai davanti a un vero miracolo: un essere minuscolo che, senza telefono, senza auto, con niente ma con tutto, ti ha riportato al punto di partenza, tra risate nere e lacrime salate. E capirai, amaro e felice, che ogni sigaretta spenta, ogni soldo perso in pannolini, è un'iniezione d’amore che sfida la tua età, la tua forza, e ti ricorda che la vita, dopotutto, è un gustoso scherzo crudele.
AM
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