LA STRANA STORIA DI MR. QUINCEY [Cieli Di Valium] di Alessio Miglietta
LA STRANA STORIA DI
MR. QUINCEY
Quincey se ne stava in riva al mare,
eretto da sembrare l’asta di una bandiera, a scrutare l’orizzonte.
Di fronte all’immensa distesa blu
elettrico, collezionava i pensieri di una nebulosa giornata
d’inverno. Si arrovellava, in cerca di uno spunto, nella solitudine
opaca del suo cuore, fatta eccezione per una nutrita colonia di
gabbiani.
Sembrava teso, Quincey, come fosse un
primo appuntamento, ed effettivamente lo era.
Quincey aspettava la sua vita.
Trent’anni di ritardo, se l’era
presa comoda, dopotutto.
Una barca in lontananza, una giornata
senza vento, un tronco d’albero insabbiato dietro di sé, una
piccola costellazione di bottiglie di birra vuote tutt’intorno, il
mare di fronte, grande, blu come occhi da specchiare in un’anima,
una poesia senza confini.
Era la cornice per l’incontro.
La sintesi, il motto di Quincey.
Ha arrancato il nostro inglese, per tre
decadi, scrutando un cielo senza eroi, all’ombra di un matrimonio
affrettato, divenuto fallimentare dopo soli tre anni, di un lavoro
routinario come impiegato alle poste, dell’immunità da brividi
acquisita con lo scorrere del tempo, di un’infanzia problematica
che si è trascinato dietro ogni singolo giorno.
Era convinto dell’esistenza della
felicità, Quincey, più di quanto non lo fosse dell’esistenza di
Dio, e giurava che prima o poi l’avrebbe trovata.
Felicità, cioè pace.
Pace, cioè la voglia di tornare ad
emozionarsi.
La sua tempra era invidiabile, gli
aveva sempre permesso di non crollare, di non gettare la spugna,
anche quando ne aveva il sacrosanto diritto.
Allo stesso modo, però, la sua forza
d’animo non era mai stata sufficiente per uccidere i suoi fantasmi
e placare la sua sete. Sete di vita, vita che scorre come acqua
fresca che disseta.
Quincey si curava con il mare, ogni
volta che poteva, talvolta urlando a squarciagola al centro di una
tempesta, talvolta restando in silenzio, apparentemente
imperturbabile, nella moltitudine di serenità che fioccano dalla
spuma delle onde di un mare inverosimilmente immobile.
Quincey ripensava, sanguinando dal
cuore, alle scelte fatte nella sua vita, per esempio quando ha deciso
di sposarsi con Eva, conosciuta durante il servizio di leva a
Nottingham, dove poi si stabilì, lasciando Meredith alla sua
partenza da Newcastle, l’unica donna che lo abbia mai amato.
Doveva capirlo già dal nome della
futura moglie che Eva fosse incline al tradimento, Quincey l’aveva
scoperto ed aveva iniziato a bestemmiare il fatidico si, lo voglio
da tempo immemore.
Fissava il mare e rivedeva Meds al suo
interno, la donna che aveva sempre immaginato al suo fianco era
diventata l’acqua del mare, che bagna dolcemente ma che non può
dissetare l’anima.
Lacrima.
Quincey piangeva, per il rimpianto.
Si odiava.
Si sentiva lontano dai suoi giorni, e
sentiva il vuoto intorno a sé.
Julian sembrava in ipnosi, quel giorno,
tutte le tentazioni azzardate della sua vita sembravano avergli
presentato il conto, ma lui non mosse ciglio, e con il filo
d’immaturità dei suoi ventidue anni saltò sulla sua moto, e
scappò via.
Andava forte, Julian, come una saetta,
lungo la strada di terra battuta che lo vedeva allontanarsi da casa.
A volte una lacrima freddava le sue guance, prima di essere asciugata
dal vento, lasciando una scia cristallina ai lati del suo viso.
Quella moto era l’icona della sua
libertà, quel giubbotto di pelle nera che indossava era la chiave
per aprirne il lucchetto invisibile.
Il vento dei capelli, il rombo del
motore che stira le sue marce, una gran voglia di raggiungere in
fretta la costa est, dove il sole tramonta.
Non una parola, non un respiro di
troppo.
Eccola, la costa, specchiata in un mare
silenzioso e dannatamente affascinante.
Scendeva dalla sella, Julian, e sentiva
piombare di nuovo sulle spalle il peso di quel mondo, e di quella
vita, così diversi da lui, e dalle sue antiche convinzioni, dai suoi
futuri progetti.
Ed il peso del dolore.
All’orizzonte soltanto una barca,
sulla spiaggia il silenzio composto di un mercoledì qualunque.
Stasi magica.
Elementi sospesi.
Solo un uomo al centro di quel quadro.
Vestito di tutto punto, fissava il mare
senza muoversi, non era certo un pescatore.
Julian si avvicinava alla riva,
guardando i suoi stivali immergersi nella sabbia, passo dopo passo.
Insisteva invano nel distogliere lo
sguardo dall’uomo silenzioso, e mentre accendeva una sigaretta,
finì con il fermarsi proprio a fianco a lui.
Due colonne di un’invisibile scultura
architettonica.
Julian sulla sinistra.
Quincey sulla destra.
Il mare in mezzo a loro.
Quel mare sembrava voler trasmettere a
quei due uomini così diversi il desiderio di confrontarsi, di
sovrapporsi, mediante la sua calma.
Eppure, il solo silenzio riusciva ad
attraversare lo spazio tra loro.
Il silenzio ed il rumore delle onde che
si infrangevano sul bagnasciuga.
Quincey dava la sensazione di non
curarsi affatto dell’inatteso ospite, finchè questi, come in una
partita a scacchi, fece la prima mossa, ed iniziò a singhiozzare.
Ma non era un buon consolatore, nella
sua sintesi anche le parole più semplici apparivano come brevi
sentenze lapidarie.
Julian era sul punto di crollare,
nessuno sa quanto avrebbe voluto farlo in quel momento, le lacrime
scivolavano lente sul viso, da sole, e dopo qualche secondo di pianto
delicato, dopo aver gettato via la sigaretta, tirò un sospiro per
tornare in sé.
- Mia sorella è morta stanotte, e non
sono riuscito a versare una lacrima davanti al suo capezzale.
Silenzio.
- Sento morire una parte di me con lei,
lentamente, come se fosse una rosa senz’acqua.
- Ne sono desolato - rispose
formalmente Quincey.
- Molti uomini sono forti nella
battaglia con la morte, io mi sento come quando ero un bambino
terrorizzato. Mia sorella era l’unica persona che amassi davvero
della mia famiglia.
- Quanti anni hai, ragazzo?
- Ventidue. Mia sorella ne aveva
ventotto, è stata presa da un male incurabile.
- A questa età è normale che tu stia
male, il dolore è ancora un frutto troppo acerbo per te. Ci vuole
tempo, ragazzo, e piano piano il dolore si attenuerà. Il tempo cura
le ferite, anche se i tagli sono profondi. Alla tua età ho perso i
miei genitori, e pensavo di non uscirne, ma con un po’ di forza
ogni cosa si sistemerà. Tua sorella vorrebbe questo da te, ne sono
sicuro.
- Julian.
- È il tuo nome?
- Sì, così eviterete di chiamarmi
ragazzo.
- Va bene.
- E voi? Perché siete qui?
- Mi sto curando, con il mare.
- Curarvi da cosa?
- Dall’infelicità. E dal rimpianto.
Il mio matrimonio è alla frutta, la mia vita cade a pezzi come un
vecchio mosaico, le mie giornate sono senza un senso, e la donna che
amo è chissà dove nella fredda Inghilterra del nord.
- La donna che amate non è quella che
avete sposato, a quanto pare.
- Esatto.
- E perché avete sposato un’altra
donna?
- È una lunga storia.
- Io non ho fretta, ed a quanto pare
neanche voi.
- Non è questo il punto. Hai perso tua
sorella stanotte e hai voglia di sapere una storia assurda da un
estraneo?
- Potrei averne bisogno, magari.
- Io non sono un guaritore, né uno
strizzacervelli, né un prete.
- Non ho bisogno di sfogarmi, tantomeno
di confessarmi, Dio non avrebbe abbastanza tempo.
- Allora cosa vuoi, ragazzo?
- Non mi chiamate ragazzo, mi chiamo
Julian.
- Cosa vuoi da me, Julian?
- Nulla.
- Allora siamo in due.
- Ma sento di conoscervi molto di più
di quanto conosciate voi stesso.
Silenzio.
Quincey aggrottava le folte
sopracciglia nere, distogliendo lo sguardo da quello del giovane
centauro. Avrebbe potuto anche aver ragione.
- Volete una sigaretta?
- Ho smesso da anni, ma accetto
volentieri, grazie ragazzo.
- …
- Grazie, Julian.
- Di nulla, signore.
- Mi chiamo Quincey.
- Quincey, e poi? Di nome?
- Quincey è il mio nome. Quincey
Foster.
- Quincey è un cognome, non avevo mai
conosciuto nessuno che avesse un cognome per nome.
- Vogliamo stare tutto il giorno a
questionare sul mio nome?
- No di certo, non sarebbe opportuno,
comunque sappiate che avete due cognomi.
- …
Se la ridevano i due, ad un occhio
esterno l’ultima volta sarebbe sembrata in un’altra vita.
Le menti sembravano sgombre,
finalmente.
Il dolore da una parte, l’inquietudine
dall’altra, dissipati da un sospiro del dio dei venti.
Silenzio.
- Io non ho mai creduto in Dio, e voi,
Quincey?
- Perché dovrei credere in Dio? Lui
crede in me? E non credo nei miracoli, credo negli uomini, e nelle
idee brillanti, quelle per cui morire. Prima credevo nell’amore, ma
sembra un cielo fa.
- La vostra mancanza d’amore vi fa
apparire sofferente, a volte nei vostri occhi posso vedere mia
sorella.
- Ed io nei tuoi rivedo lei. La
spensieratezza, il sogno di libertà, la tranquillità, di colei che
amo.
Silenzio.
Solo il mare continuava il suo monologo
infinito.
- Non è detto che sia tutto oro, ciò
che luccica, Mr.Quincey.
- Non lo metto in dubbio, Julian, ma mi
infondi la distensione che cerco da una vita.
Julian restava perplesso, in balìa
degli eventi, continuando a studiare lo strano interlocutore, tanto
misterioso quanto fragile.
- Sai, Julian, la spensieratezza. È
un’emozione che non ho mai provato. Sono sempre stato assalito dai
miei incubi, dalle regole, dagli obblighi e dai doveri, senza un solo
giorno di ferie concesso. Se dovessi guardarmi dall’esterno per
come sogno e per come sono nel mio inferno, confezionato ed arredato
a dovere, direi giù il cappello. Ma forse, nella vita reale
non mi sento a mio agio, nella costellazione dei conflitti interni, e
credo proprio che quel cappello me lo terrei.
- Quel cappello è semplicemente la
poca stima di sé stessi, Mr.Quincey, e per giunta in bella vista.
Silenzio.
Quincey era basito, quasi ferito a
morte dal fulmine che si portava dietro le parole del giovane uomo.
- Per avere vent’anni, fai buona
filosofia, ragazzo - diceva, con sarcasmo.
- Ventidue, Mr.Quincey.
- Fra qualche anno te li diminuirai gli
anni, per non sentirti troppo vecchio.
Il sorriso silenzioso e posato di
Julian illuminava il freddo della giornata.
- Quindi, i vostri pensieri sono la
vostra malattia?
- Sì.
- E non pensate che sia ora di curarvi?
- Te l’ho detto, lo sto facendo, con
il mare.
- Stronzate.
- Cosa? Come osi, ragazzo!
- State solo aumentando il vostro
malessere. Se volete davvero curarvi e la donna che amate è davvero
importante, mandate al diavolo vostra moglie (quanti bravi mariti lo
fanno?) e cercatela in ogni angolo dell’Inghilterra. Trovatela, e
amatela, tenetela stretta a voi e ricomporrete i pezzi. Se il gioco
vale la candela, non ve ne pentirete mai. Non serve a nulla che ve ne
stiate qui, in riva al mare, immobile, con i piedi affossati nella
sabbia. Siete una barca arenata, Quincey, e non crederete davvero che
il mare venga a riprendervi? Voi dovete andare a riprendere il vostro
mare, e domarlo.
- …
- …
- Tu sei troppo giovane ed ingenuo per
conoscere la vita, Julian, il coraggio è prassi, alla tua età.
- Ed il vostro, di coraggio, dov’è?
- …
- Non sembrate molto più vecchio di
me, e potreste essere il primogenito di mio padre. Dove sono i vostri
ventidue anni, Quincey? Dov’è il vostro tempo migliore?
- Li ho lasciati da Meds.
- Meds?
- Meredith, caro Julian, la mia amata.
La chiamavo Meds, avevo la tua età quando ci lasciammo, lei
vent’anni, ed era un incanto.
- …
- Prima della mia partenza per la cupa
Nottingham, per prestare servizio militare, vivevo con lei il sogno
dell’amore perfetto. Il corteggiamento, i baci, la passione, un
accenno di gelosia, la libertà, la fiducia, la comprensione, il
sorriso. Poi ci fu la grande guerra, che ci divise. Per sempre. Otto
anni, da quando salii su quel maledetto treno. Una parte di me morì
quello stesso giorno.
- Dove vivevate, prima di partire,
Mr.Quincey?
- A nord-est dell’Inghilterra, nel
Tyneside, in un paesino poco distante da Newcastle. Ma dopotutto, era
veramente accogliente Wickham. Ci sei mai stato, Julian?
- Beh, direi di sì. Io vengo proprio
da Wickham.
- Ma che diavolo?...
- Sì. Sembra assurdo che il destino ci
abbia fatto incontrare.
Silenzio.
Silenzio amaro.
Silenzio prolungato, forse troppo.
Dalle rive del Tyne, fino a quel mare,
quel Tyne che nei giorni di sole somiglia al Tamigi.
- Julian.
- Sì, Mr.Quincey.
- Perché non mi porti con te a
Wickham? Vorrei rivedere quel paese che mi ha visto crescere, nella
speranza di ritrovare lei. Magari è ancora lì, no?
- Non credo sia una buona idea,
Mr.Quincey.
- E perché mai, Julian?
- Non credo vi servirebbe.
- Ho lasciato lì la mia vita, voglio
fare finalmente il primo passo per riprenderla. La mia stabilità
deve partire dal mio movimento, e voglio che sia così, un monito
sempiterno, da qui in avanti, come un cartello davanti alla mente che
recita NON STARE MAI FERMO. Me l’hai detto tu, o sbaglio?
- Sì, l’ho detto.
- Appunto. È quasi il tramonto, quando
pensavi di tornare a casa?
- Contavo di non tornare più, o dopo
il tramonto.
- Ringrazio il cielo di averti
incontrato.
- Non credevate in Dio, Mr.Quincey.
- Credo nel destino, caro Julian.
- Io neanche più in quello.
Si preparava in cielo la sfilata di
colori fluorescenti che riflettono sul mare ogni sfumatura delle
anime degli uomini, delle donne, dei sogni, delle emozioni.
Tramonto. Uno dei più dolci di sempre,
per Quincey.
Julian era turbato, nuovamente. Quincey
non lo vedeva, o forse faceva finta di non vederlo, mentre allentava
leggermente il nodo della cravatta.
La luce scappava via, facendo sparire
come ombre tutti i discorsi fatti fino ad allora. Il mare li
guardava. Una vacua penombra bordata di rubino si affievoliva
delicatamente, per far spazio alle stelle sul manto azzurro in
chiaroscuro.
Quiete.
Dopo la tempesta emotiva.
Il ronzìo della moto di Julian, gli
occhi speranzosi di Quincey che si affacciavano dietro le spalle del
ragazzo, una lunga strada di ritorno davanti a loro.
Silenzio tra i due.
Due ore di viaggio, in costante
crescendo di terrore per Julian, quasi amletico, in costante
crescendo di adrenalina per Quincey, quasi emblematico.
Punti di vista.
Ecco il cartello in legno, alle porte
della città.
Welcome to Wickham,
Newcastle-upon-Tyne.
Quincey, nel suo fare così instabile
viaggiava con la fantasia, restando impassibile e dannatamente
coerente con i suoi sogni.
Pensava a Meds.
Meds e lui, insieme.
Insieme, mano nella mano, tra fiori
d’arancio.
Su un mondo parallelo costruiva una
casetta in riva al mare che fosse adatta a loro, alla poesia che il
loro amore aveva custodito, intatta, per tutto quel tempo. Immaginava
un albero di mele, vicino al patio, un camino da tenere acceso nelle
notti d’inverno, un arredamento semplice, molto sobrio.
Immaginava una cameretta azzurra al
fianco della stanza da letto.
Immaginava.
E sorrideva.
Quincey aveva bisogno di vivere quel
sogno emostatico, aveva bisogno di vivere Meds, e di seguire con la
punta del dito i suoi lineamenti, ancora una volta.
Vite lontane.
Vite mai così vicine.
L’ombra della lontananza si stringeva
sempre di più.
Quincey sorrideva, con aghi d’amore
infilati nelle vene, con il sangue macchiato di emozione e rimpianto.
Ma sorrideva, e già questo faceva
notizia.
Era sereno, dopo tanti anni.
Era sereno, edulcorando il suo traffico
mentale, perché quella salita portava dritta a Meds.
Julian era in trance, come
quando era scappato di casa, lontano da quasi ogni tipo di pensiero.
Quasi, perché il senso di colpa
sembrava schiacciarlo.
Ormai tra le mura del paese, con la
moto scelse, d’un tratto, un sentiero diverso rispetto a quello che
portava al centro, e Quincey decise di rompere il lungo silenzio.
- Dove stiamo andando, Julian?
- Dalla vostra amata, Mr.Quincey.
- Ma non capisco, perché hai preso
questa strada?
- Presto capirete, Mr.Quincey.
Silenzio.
Julian piangeva.
- Perdonatemi, Mr.Quincey.
- Di cosa, amico mio, dovrei mai
perdonarti?
Silenzio.
La lunghissima via, costellata di
alberi pensanti, andava stringendosi, fino ad arrivare ad un enorme
cancello in ferro battuto, assalito da edere e rampicanti di ogni
genere.
Dietro di esso si estendeva
un’immensità di giardini, vicoli in marmo bianco, cipressi alti
come il cielo, ed un odore di fiori freschi bagnati dalla pioggia.
Julian spegneva la moto, accompagnando
quel gesto ad altre lacrime.
Quincey non capiva.
E non riusciva a ricordare neanche il
luogo dove il ragazzo l’avesse portato, non era mai stato in
quell’angolo del paese. Forse la memoria lo ingannava, o magari il
buio ci metteva del suo.
Julian accendeva una sigaretta per
fermare il suo pianto.
- Dove mi hai portato, Julian?
- Spero non mi odierete, Mr.Quincey,
non era mia intenzione procurarvi del dolore, il nostro incontro di
oggi, su quella spiaggia, è stato fantastico, direi profetico, io vi
ho invitato ad affrontare i vostri fantasmi, a sfidare il destino, a
prendere posizione, e voi mi avete insegnato, se così posso dire, ad
anestetizzare il dolore e ad affrontare la vita, a prenderla per i
capelli. Come si fa tra fratelli.
- Perché mi stai dicendo questo,
Julian? Mi hai aperto gli occhi, non c’è dolore in me, per questo
ti ho chiesto di portarmi di nuovo qui. Ti devo parte della mia vita.
Comunque andrà, sarò felice di aver tentato l’assalto
all’esistenza, all’amore, al mio passato. Perché ti vedo così
affranto?
- Seguitemi, Mr.Quincey.
- …
Il cancello era già aperto, e Julian
faceva strada al suo ospite disorientato, camminavano senza
risparmiare tempo, per la stradina che circondava il giardino
illuminato dalla luna.
Rumore di passi, prima voloci, poi
rallentati.
Luce di candele.
Silenzio.
Nessun rumore.
- Siamo arrivati, Mr.Quincey.
- Dove siamo, Julian? Non si vede
nulla.
- Fatevi luce e capirete.
Quincey cercava risposte, ma non ne
trovava, prese una candela e la portò dinnanzi a sé.
Rabbrividì.
Silenzio.
Poi un urlo di disperazione, che entrò
fino al cuore del Paradiso.
Perché l’inferno era già lì,
intorno a lui, dentro di lui, davanti a lui.
Qui giace Meredith Boyd
donna gentile dal
sorriso lucente
che rimase sola, in
attesa dell’amore.
Rest In Peace.
- Meredith era mia sorella, Mr.Quincey.
- …
- Perdonatemi, se potete.
- Quindi questo è il lugubre cimitero
di Wickham, quello che nascondono ai forestieri?
- Sì.
- Era bellissima, non trovi?
- Non sapete quanto mi parlava di voi,
del suo amore portato via dalla grande guerra. Non mi ha mai detto il
vostro nome, ma su quella spiaggia ho capito. Parlavate nello stesso
identico modo.
- Grazie, Julian, di avermi portato da
lei.
- Lo dovevo a mia sorella, lo dovevo a
voi, mi avete insegnato la vita, Mr.Quincey.
- Sono un pessimo insegnante, Mr.Boyd.
- Non volevo andasse in questo modo.
- Va bene così, Julian, credimi.
Silenzio.
- Torna a casa ora, ragazzo mio, ho
bisogno di stare con lei stanotte.
- Ne siete sicuro, Mr.Quincey?
- Sì, Julian, voglio recuperare un po’
del tempo che non ho avuto con Meds.
- Va bene, come volete. Tornerò
domattina per riportarvi a Notthingham. Vi troverò?
- Molto probabile. Buonanotte, Julian.
Un abbraccio forte, di quelli che
parlano, che solo un fratello è in grado di dare.
- Buonanotte, Quincey, a domani.
Silenzio e passi in lontananza.
Rumore di moto che si accende, e rumore
di vento fra gli alberi.
Rumore di moto, che scappa via.
Silenzio.
Un bacio alla fotografia di Meredith,
che decora la lapide bianca.
Lacrime.
Pioggia.
Ed uno sparo, che echeggia nel cimitero
di Wickham, quello da nascondere anche ai forestieri,
affollato di cipressi.
Rumore di un corpo, che impavido e
sereno, cade a terra.
Silenzio.
Sangue che scivola sul marmo, e che la
pioggia inglese trascina via.
Quincey Foster ed il suo sogno
finalmente uniti, liberi di volteggiare insieme nei cieli più
azzurri.
Quincey e Meds. Di nuovo congiunti, con
le anime legate, per l’eternità.
Proteggeranno Julian, da lassù.
La sintesi, il motto di Quincey.
The End
AM
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