UNA STORIA NONSENSE (Demo) di Alessio Miglietta


Nel boschetto di Sam la vita è turchese e spensierata, proprio come dovrebbe sempre essere, un
giorno tira l'altro come se fossero cookies. È un posto affascinante come un appartamento con vista
sulla Pacific Coast, che nessuno potrà mai vedere, nemmeno con occhiali nuovi.
Qualcuno di solito si inerpica sul grande albero da frutto della mente, o della conoscenza, scegliete
voi, per cogliere la mela candita e proibita, lasciare lì la muta, sentirsi qualche metro più alto. Poteri
della reptazione, la logica direbbe di un serpente – a sonagli o con le maracas. Magari di un
adolescente fluorescente che è appena diventato uomo. Dopotutto, non so neanch'io di che muta si tratti.

Il pappagallo azzurro, però, che fuma allegramente un sigaro cubano seduto su un cavallo a
dondolo, mi ricorda giustamente che saper usare bene le parole è al tempo stesso un'arte, una
scienza e un'arma. Che affilata come si deve, può compiere miracoli e far vincere battaglie nei più
svariati campi. Io rido a denti stretti per non sputare in giro i cookies. Ergo, preferisco raccontare
questa fiaba come mi viene, in perfetta libertà, a marmocchi usciti dalla pubertà almeno da nove anni. Il pappagallo mi sbuffa contro una nuvola di fumo, e si gratta la gola nervosamente, facendomi capire di non essere d'accordo, ma secondo lui l'idiota è necessario.

Un fiume color arancio acceso, mix perfetto di curry e allucinazioni, cade in una vasca da bagno
colma di pensieri e di bugie rubate ad un bambino, proprio nella tasca sbrindellata dove tiene le
caramelle. Un gatto elegante cammina su due zampe, non ha gli stivali ma ha in mano una birra che
sembra ghiacciata, con un bel sorso inghiotte il cuore nella rugiada del mattino, prima che il sole
salga in cielo con i suoi occhiali da umano. Si asciuga baffi e vibrisse con la manica della sua polo
Lacoste giusto in tempo per vedere la partita dei Lakers, che aspetta da cinque vite. Poi si
addormenta, dopo aver succhiato decine di mentine come fossero antidepressivi. Nessuna luce
all'orizzonte per l'emblematico orsetto piegatore, che se ne sta giorno e notte a lavare e sistemare
compulsivamente le polo del gatto senza stivali, anche se con l'acqua ultimamente non si può fare di
meglio che surfarci sopra come un californiano a Malibu.

La volpe colorata di indaco, golosa da sempre di gelato alla vaniglia, trascina con la coda una
valigia leggera con cuciture pesanti, porta un grande cappello sulla testa raffigurante il Big Ben e
palloncini gonfiati con elio tra le dita, che gli volano via ogni trenta secondi, colpa del french sulle
unghie appena scolpite.

L'elefante rosa, con calzari alati in stile greco ed un topolino sulla spalla a fargli da coscienza,
mastica tabacco e sputa dalla proboscide tutto il suo stupore. Osserva la coccinella del burlesque
mentre trangugia thè, in guepierre, in una casa delle bambole di nuova costruzione, in attesa che
qualche fusto insetto le mostri – e divida con lei – la camera da letto.

Una brillante oscurità si muove bruciando i passi incerti del silenzio. Guardatela dalla sicurezza
della vostra finestra, se non ci credete, ma questo, dopotutto, potrebbe serenamente sembrare un
testo che non racconta niente. In quel campo di margherite poco oltre, però, pare che l'erba sia
celeste come l'alba, e che i tramonti uccidano gli occhi da diverse prospettive – una corrente d'aria
fresca al centro del prato riprende i movimenti dei fiori parlanti, proprio alla fine della mia ombra,
disegnata immobile tra tutte quelle brezze.

Nel boschetto di Sam, dove la vita è turchese e spensierata, i miei occhi raggiungono finalmente il
giorno, ed un'edera di gomma si dimena attraverso un muro quieto, sorretto da piccole ed enormi
formiche culturiste. Non mi sento ancora spento e corro vicino alla strada della natura, tormentata
da luci e desideri (non potrebbe essere ancora più immenso, questo sublime vortice di pensieri
reali?). Poi mi fermo, accendo la novella mattina ed una sigaretta alla menta, scrivo su un foglio con
la terra le modalità di una libertà che non sia volgare (sempre che per gli uomini, finalmente assenti,
non siano troppo complesse).

La giornata corre in fretta, molto più veloce di me, dopotutto un giorno tira l'altro come se fossero
cookies. Così arriva di nuovo la notte, che nei pensieri scivola via. Risalgo la strada che ho
intrapreso poco fa, dopo aver corso a perdifiato senza seguire l'orizzonte, e trovo al risveglio
l'elegante gatto in polo Lacoste. Mi offre una delle sue birre ghiacciate e ci ubriachiamo insieme,
parlando di donne, di sushi, di Lakers, e delle vibrisse che non ho. Guardiamo l'orsetto piegatore
mentre si dimena spensierato nel suo gran da fare.

Anche l'ultima stella ha cantato.

Minus habens necesse est. L'idiota è necessario. Altrimenti come ci divertiremmo? Lo diceva anche
il pappagallo azzurro, sbuffando nuvole di fumo dal suo fottuto becco. 

Ed anche il bassotto Winston
acconsente, dall'alto del suo trono di pasta frolla.

AM

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