MI MANCA IL SOLE di Alessio MIglietta

Piove da una settimana, e mi sono barricato in casa, a lavoro mi sono dato malato, e conto di non uscire finchè il tempo non si sarà rimesso. Passo la maggior parte del mio tempo nel silenzio costruito intorno alla mia scrivania, facendo la spola tra la cucina – per un caffè ogni paio d’ore – e la grande finestra del mio studio, per vedere se il grande diluvio, come chiamano questa infinita e violenta perturbazione, si degni di lasciare spazio a una sospirata tregua. E con la scusa, per fumare una sigaretta. Getto un’occhiata fuori dallo spesso vetro, e sbuffo fuori dallo spiraglio tutta la mia frustrazione, mista a fumo denso, caratteristica tipica nel tabacco senza additivi. Sembra di essere a Londra. Piove e non accenna ad arrestarsi, anche le mie articolazioni ne risentono, tra noia e sonnolenza. Ogni goccia lentamente si infrange e scivola contro gli spessi vetri, da una parte, mentre il mio respiro li appanna, dall’altra. Sembra una partita a scacchi, dove posso solo perdere.

È quasi un viaggio da fermo, fino al termine della vita, la mia mente sembra avermi già abbandonato, uscita da questo appartamento, volata nei cieli più scuri e piangenti. Le mie emozioni sono lì in vista, come una ferita profonda, tanto da poter vedere anche l’interno del torace. Proprio lì, dove tramonta il sole. Sole restano anche le mie parole. Parole nuove, che sono già svanite, in una rapida evaporazione. Vorrei che tu fossi qui. Vorrei che tu mi baciassi, anche se piove.


Profumate canzoni illuminano menti asciutte. Angeli trasformisti colonizzano metropoli incompiute. Inaspettate stelle coltivano sogni ancora giovani. Rifletto in questo cielo le mie contraddizioni, spero anche oggi in un giorno migliore. Vorrei correre in prati verdi di margherite e respirare ciò che mi ha cambiato alla radice. Mi parlano le ginestre e le rose in fiore, chiudo spontaneamente gli occhi, in modo che tutto ciò che sento si amplifichi al mio interno. Anche la sigaretta che tengo tra le dita perde il rosso vigore. La verità è che sento di avere così tanti tagli sul cuore, che ho scoperto di aver terminato ago e filo, per poterlo rimettere in sesto. Sono rimasto solo, al centro del grande diluvio, a rimembrare il tempo e le sue ruggini. Tuoni frequenti come battiti cardiaci, fulmini che riportano alla luce, a intermittenza, reazioni violente e bellissime. Preghiere verso quel cielo, verso di lei, e poi uno sguardo verso quella chitarra elettrica abbandonata sul pavimento. Ho recitato una canzone senza rime, mentre la notte si portava appresso il temporale, abbracciandolo da dietro. Sono rimasto solo, e finalmente l’alba ha iniziato a brillare, in modo che l’ultima immagine nitida di lei potesse finalmente allontanarsi, dileguarsi come una nuvola estiva, verso nord: verso le spiagge. Vorrei che tu fossi qui. Vorrei che tu mi baciassi, anche se c’è il sole.


Metto rivetti nuovi sui bordi del mio cuore d’oceano, per tenerlo fermo al suo posto, durante l’alta marea. Ogni onda sembra un’insana idea di pace e serenità, e rischia di portarmi via, nei bagliori che si fanno spazio tra il giorno che vivo, e quello successivo. Non provo panico quando sono solo, ma ho ansia in mezzo alla gente; non provo panico nel buio della notte, ma sento ansia nelle giornate di sole. Ogni cosa a suo tempo, diceva l’uomo senza futuro, un personaggio creato dalla mia fantasia – quand’era ancora feconda. Continuava a ripeterlo come un mantra, come se un domani, in realtà, non ci fosse. E infatti era proprio così, perché il domani lo crei nel momento in cui apri gli occhi, alle prime luci del mattino. L’uomo senza futuro ero io, e forse lo sono ancora.

Perché questa vita blu mi ingoia, dai confini dell’infinito. Vorrei volare, cercando un mondo nuovo, ma resto sempre a terra. Goethe diceva che nel momento in cui uno si impegna a fondo, anche la provvidenza allora si muove, e infinite cose accadono per aiutarla, cose che altrimenti non sarebbero mai avvenute. Il problema è che ho smesso di sognare, quindi l’audacia rimane un foglio bianco in un angolo della mia scrivania. Guardo di nuovo fuori dallo spesso vetro che illumina il mio studio, e soffio fuori dalla finestra, finalmente spalancata, tutta la mia rabbia repressa, ombrosa, vulcanica. Comuni reazioni improprie, per la primavera ormai alle porte. Attendo quello zefiro, come se fosse l’ultima corsa della mia vita, che trascina le farfalle, e le tempeste. E l’oblio.

Ciò che voglio è semplicemente vivere e morire, ma la verità sta nel mezzo, sotto un salice piangente, o dietro a una lacrima di troppo. Ciò che voglio è vivere e svanire, come un soffio d’inverno, aprire le ante del cuore, e finalmente, poter cambiare l’aria. Renderla nuova, come vorrei essere anch’io, perché ciò che desidero è vivere e respirare, abituarmi a te, mentre ogni cosa prende la tua forma, facendomi guarire dal dolore. Ciò che voglio sei tu, e sembra davvero un verso di John Lennon. Apri le porte del tuo amore, dammi il benvenuto, e regalami questa notte. La prima notte di pace di tutta la mia vita.

Spoglia la mia mente, e metti anche lei a suo agio, accendi qualche candela. Le stelle che vedremo stanotte potrebbero non essere le stesse di domani. Scopri la mia mente tra i fumi dell’incenso, cospargila di petali di rosa, e baciala delicatamente, mentre si arrende alla tua bellezza. Ama la mia mente, di fronte al mare in tempesta, da questa finestra chiusa sentiremo soltanto il sibilo del vento, che filtrerà sotto le fessure e sotto i battiti del nostro cuore. Lo sentiremo schioccare le dita, come se tenesse il nostro tempo, come se ci stesse ascoltando. Immergi la mia mente nell’acqua più fresca, perché brucio d’amore, anche il mio corpo sembra ormai abbandonarmi. Sogni e ricordi si posano come polvere sulla mia pelle, e si intrecciano, per non tornare più.


La notte ci osserva dall’alto, e ci dona un ultimo bagliore prima di concederci il sonno. I sogni a cui ho dato fuoco non si sono ancora spenti. Tu profumi come un fiore e mi segui con lo sguardo, mentre volteggio in questo cielo intatto, brillante di ossessione, felice come un bambino a cui hanno reso il tempo. Ti tendo la mano, tu la afferri e voli via con me, tagliamo in due le nuvole, sfioriamo le labbra delle stelle. C’è ancora tanto tempo per noi, in questa notte baciata dalla luna. 

Il mio amore per te scorre tra aranci e ulivi, su campi interminabili dove danzano soltanto i sospiri. Il cielo si apre e si chiude, come un ventaglio azzurro, pioggia fresca lo esalta, vento trasparente lo increspa. Ascolta questo silenzio, sembra diventare una musica, portata dal vento dell’Est, per gravitare su cuore, cristallo e pietra. Il mio amore per te è un punto lontano, che puoi osservare quando vuoi, mentre cerchi l’aurora: ti chiedo soltanto di non confonderlo con il sole, quando lo farai. Nei tuoi occhi splendenti la mia anima vuole ancora giocare, aspettando la resurrezione, intrecciando foglie di menta, e ortensie. Finchè non arriva la sera, dove ti confondi con la luna maestosa. Come sei bella, nella nostra casa, vestita di bianco.


Ha smesso di piovere da una settimana, non ha più senso soffrire così, è tempo di una sospirata tregua. Sono troppo debole per vivere, ma troppo forte per morire, non riuscivo più a dormire e gli incubi si facevano realtà. Cercavo un colpo per farla finita, e concludere la mia storia in un modo tanto meraviglioso, quanto romantico. Lasciato sulle rive di un fiume, così che fosse la corrente a portarmi via. Morire così, quando si è già morti dentro, probabilmente non fa nemmeno tanto male.


AM

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