FONDERSI CON IL FOGLIO (E CON IL MONDO EDITORIALE) di Alessio Miglietta

Mi dico che è il momento giusto e devo sbrigarmi.
Certo, sarebbe più facile se ci fosse un foglio di carta, prenderei la penna e le parole non rimarrebbero incastrate in una vena del cervello o nella gola, ma scenderebbero fino alla mano, sporcherebbero il foglio, ci resterebbero attaccate con tutto quello che si portano dietro.
È il potere della pagina bianca, credo.
Ti risucchia e ti libera, è la tua possibilità di buttarti da un’altra parte.
“Allora?” mi chiede il mio editore, accendendosi una sigaretta.

“Allora? Beh, te lo dico sinceramente, io un romanzo del cazzo sui vampiri non lo scrivo neanche se mi dai dieci milioni di euro”.
“No, tesoro, tu hai firmato un contratto, e penso proprio che lo scriverai, se vorrai vendere ancora qualche copia.”
“Fanculo al contratto, la mia risposta è no”.
“Diamoci un taglio, dimmi quanto vuoi e troviamo un accordo”.
“Non voglio i tuoi soldi, voglio la libertà di scrivere quel cazzo che mi pare”.
“Il mercato non lo permette, lo sai”.
“Fanculo al mercato”.
“Ma è lui che comanda l’economia e gli introiti degli autori come te, e alla fine per fare soldi tutti si piegano e scrivono qualcosa di più commerciale”.
“Io no, mi spiace, lascia fare questa roba a gente che inventa stronzate come i lucchetti dell’amore ad illuminare il Tevere, o chi si interessa di questa massa di merda di persone ignoranti, vedrai che le persone con il cervello i miei libri li compreranno, è così da quando ho iniziato qualche anno fa”.

In effetti questa mia frase è dannatamente vera, quanto emblematica. Ho sempre amato portare avanti le mie idee, non farò eccezione stavolta, ed il mio editore lo sa, l’ha sempre detto che sono un cavallo pazzo e che sarei stato un problema un giorno o l’altro, per la mia eccessiva fermezza, o stravaganza stilistica. Quel giorno è arrivato, e lo stiamo vivendo. Trascino i miei passi pesanti lungo la ripida scalinata che porta in cima al successo, leggo sulle pareti il regolamento piuttosto discutibile per adattarmi al mio ruolo nel mondo, ma lo scambio non è equo, la mia integrità è in bilico, e l’anima a rischio prosciugamento, ogni cosa appare distorta e non riesco più a respirare bene come prima, mi trascino e perdo l’equilibrio. E poi la vista che si offusca, gli occhi che bruciano, come sfiorati da una medusa che rappresenta i miei sogni. A volte penso che sia tutta colpa loro. È colpa dei miei pensieri tendenti alla genialità, è colpa mia per il non volermi mai piegare di fronte a regole di plastica che fanno male al genere umano, già sull’orlo del baratro aperto dell’ignoranza.

A volte mi vergogno di appartenere al genere umano, e rivedo gli scrittori nei martiri che venivano massacrati e giustiziati sulle piazze delle città medievali. Non c’è libertà di pensiero, di scrittura, di azione, forse per colpa dell’economia, un po’ della moda, un po’ delle persone, forse di una frangia degli stessi editori, e poi c’è il regolamento. Ed è così che a questo punto, dopo aver avuto l’ennesima battaglia interiore tra le mie oscene doppie personalità, nell’eterno contrasto tra i miei Dottor Jackill & Mister Hide, prendo una sigaretta e la metto fra le labbra, temporeggio con l’accendino, ruotandolo tra le dita, gli concedo il mio sguardo da partita a poker.
“Allora? Che diavolo devo fare per farmi ascoltare da te? Hai deciso?” mi chiede nuovamente il mio editore, accendendosi l’ennesima sigaretta, giusto per tenermi compagnia. Faccio la prima, nervosa, profonda boccata, e gli lancio un po’ del mio fumo negli occhi, quasi per confonderlo.
“Sì che ho deciso. Fanculo al regolamento”.

Così mi alzo, prendo i miei fogli e me ne torno a casa, a scrivere il seguito del mio fottuto, corrotto e ricercatissimo bestseller.

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