LIBERTA’ di Alessio Miglietta

Libertà. 
Da quando pronuncio questa parola, ho scoperto i miei desideri.
Esclamando “Libertà!”, talvolta ho due visioni distaccate della stesso universo, da un lato un politico corrotto che la etichetta come “fuga dalla realtà”, dall’altra un prete scopatore di bambini che grida al “danno cerebrale”.
In quel frangente, divengo un sorriso su due gambe, estasiato dal paradosso.
Ma cos’è realmente la libertà?
Libertè Egalitè Fraternitè, lo trovo un concetto fantastico, nonostante trovi insopportabili i francesi.
La libertà è un fuoco intimo, una potenza generatrice, un fiore all’occhiello, ma al tempo stesso è un’emozione astratta, indecifrabile. 
È direttamente proporzionale alla felicità ed al sacrificio, talvolta è contraria alla vita, alla fortuna, al destino e ai bagliori celesti, come la storia ci ha insegnato.
Avvolgo i miei pensieri in un velluto trasparente, che lascia trapelare le mie visioni, pulite come ghiaccio.
Così posso camminare su un sogno, cercando di raggiungerne l’orizzonte, ammesso che esista.
Libertà significa far parte dell’esercito del sole, diventare lava incandescente ed avvolgere-travolgere-illuminare ogni emozione, cancellando i contorni e scovando le essenze.

Chiudo gli occhi, ritrovandomi nella mia personale Yellowstone.
La libertà è una scritta su un muro, del buon sesso, una città illuminata dalla neve, è scoprire esperienze, posti e persone nuove, essere nudi avvolti da lenzuola di seta, avere la conoscenza, avere modo di compiere una scelta, il silenzio.
La libertà è il mare, un tramonto da fissare nei ricordi, è acqua fresca da bere sotto una luna tranquilla.
È parlare, vedere, sentire, fare poesia, sfiorare una pelle morbida, non curarsi del tempo, è un sogno che non dorme mai.
A volte la libertà è accettare ed affrontare le proprie più intime debolezze, ogni oscurità. 
La voglia di sé stessi si accende troppo spesso in modo fatuo, come se facesse falso contatto, senza trovare combustibili concreti, probabilmente per mancanza di sogni e personalità.
Amico mio, nulla è visibile se non gli si presta attenzione, l’ego ha bisogno di evoluzione ed espansione, attuate da vie traverse come un assassino che arriva alle spalle per tagliare la gola della sua vittima.
Mi guardo allo specchio, la coscienza si spacca.
Potrei uccidermi osservandomi.
Eppure attraverso il mio riflesso vedo occhi assetati, un sorriso armonioso, una bellezza emostatica che fa passare la vita apparente in secondo piano.
L’universo è fitto di misteri, e nei miei giorni assuefatti dalla noia raccolgo i fiori del mio segreto, profumati di libertà.
Guardo il cielo attentamente, dai vetri della finestra, cerco i confini di una galassia inesplorata, ai cui margini fluttua il mio sogno più nascosto.
Nei miei desideri si fondono i misteri di questo osceno universo, due opposti in estrema ed inesauribile contraddizione.

Sbottono la camicia, liberando il collo profumato, finalmente senza cravatta, anche quella è una forma di liberazione da una gabbia, indipendentemente che sia di seta, di acciaio o di tumulti.
La libertà è complicità con sé stessi, superando i confini insediati nel cuore e nell’anima, abbattendo muri e barriere di ogni sorta, convertendo i trainings abituali che si usano per zittire il proprio spirito confuso.
La vera libertà è il non credere in nulla se non nel coraggio, nell’intelligenza, nell’adrenalina, nella paura, nel viso di una donna.
È uno sfogo che sa di classico, lontano dagli schemi di entità come Dio e Allah, Gesù Cristo o Maometto, schiavitù irritabili e sempre più effimere, della mondanità del ventunesimo secolo, che serve per scavare nell’animo umano, in cerca di una bellezza emozionale che abbiamo lasciato annegare per nostra stessa colpa.
Da anni è proprio il concetto di Dio, e di ogni forma di credo “esterno” che vedo abbattuto e superato, e come disse anche Baudelaire, non ho mai escluso che Dio e Satana, mentre si combattevano, si dessero in segreto la mano.
Quando mi fermo a pensare, da romantico esistenzialista, penso che sarebbe bello in fondo credere ancora in qualcosa, magari in sensazioni vivibili anche una sola volta nella vita, ma poi apro gli occhi e mi accorgo di quanto sia stupido l’uomo, è così grottesco vedere un essere tanto intelligente soggiogato da un concetto tremendamente scarno, o per stare al passo con il mio tempo, con un cavillo o, ancora peggio, un vizio di forma.
È forse questa la libertà?
Non è un’illusione che odora di prigione?
Dove cazzo sono finiti i veri valori?
Getta il cuore oltre gli armistizi della ragione, supera le fantasie, non avresti voglia anche tu di un mondo nuovo, lucente?
E non confondere tutto questo con l’anarchia, saresti fuori strada e mi daresti un dispiacere.
È semplicemente libertà, profumata e liscia come il seno di una donna, o come un ottimo whisky, per capirci.

Vorrei che facessi un tentativo insieme a me, tu puoi farlo, perché conosci sicuramente questa sensazione di incompletezza che mi pervade.
Sfiora i polsi, poggia un dito sulle tue vene, ed ascolta, molto attentamente.
C’è un’eco dietro i palpiti del cuore, che arriva quando il sangue si fa più puro e denso.
Quell’eco di battiti flebili ed indecisi è la tua libertà, non lasciarla in silenzio, non esserle indifferente, sarebbe come perdere l’acqua.
Essa getterà indietro il plasma, saturo di sogni ed emozioni adrenaliniche, fino al cuore, nei meandri del miocardio.
Da lì partirà fluido, per ossigenare ogni tua cellula, e ricreare la tua naturalezza.
Tornando originale con il vantaggio di una luminosa esperienza, potrà rinascere la tua potenza, e la linfa vitale che ti indurrà a ritrovare il tuo ego sepolto.
Lo riesumerai, un giorno, ti sentirai un profano nel regno dei morti, e ne sorriderai, estasiato dal buio e dai corvi che così a lungo ti hanno imprigionato.
Ti renderai conto di poter aprire nuove strade e creare nuove idee, battendo terreni sconosciuti alla tua stessa immaginazione.
Troverai la curiosità di un pirata immaginario in cerca dei confini del mondo, scoprirai di avere la forza di una divinità greca, rinnegando ogni forma di negligenza e remissione.
Sarai immortale.
Per pochi ed infiniti secondi, sarai te stesso.
Il tuo pubblico, composto dai tuoi molteplici Io, ti applaudirà, ti sarà vicino in ogni istante, dal primo all’ultimo, come ogni attore-spettatore, come ogni specchio invisibile.
O come il sangue dietro la cocaina.
Sorrido silenziosamente, e chiedo attenzione al mondo circostante, a metà tra un dittatore ed un direttore d’orchestra.

In una delle mie vite precedenti ho provato una sensazione simile, ma sono rimasto deluso, allora fu l’amour a mettersi in mezzo, ad ostacolare il mio percorso, lo ricordo come fosse ieri.
L’amore, che con la lingua disegnava il contorno del suo sorriso bastardo, fermò il corso delle cose, ad un passo dalla libertà, la meta più ambita.
Potevo toccarla, sentirne l’odore, comprenderne i segreti, ma indugiai, costruendo con queste stesse mani il mio patibolo, e seco la condanna ad un’altra esistenza di folli ricerche nell’ego.
E nel tempo.
Una notte di sesso e sentimenti mi crocifisse.
Fine dei giochi.

Ero convinto che amore e libertà avrebbero potuto salvarmi, se fossero stati una cosa sola, ma sbagliavo.
Sarebbe stato come chiedere al sole di brillare tra la luna e le stelle in una notte placida, o come chiedere ad un bambino sereno di generare violenza e dolore.
È soltanto una coppia di parole, estremità che danzano nell’effige dorata dell’antitesi, come guerra e pace, bianco e nero, vita e morte, inferno e paradiso, suono e silenzio.
Dopotutto non fanno neanche rima fra loro.
Anche davanti ad un miliardo di persone chiama libertà quella che non è libertà, amour quello che non è amour, e vita quella che non è vita, pur di non ammettere di non averci mai capito un cazzo, io andrò oltre, ricompattando il mio mosaico.

Ho avuto un’illuminazione, in preda al delirio ed al vino, ho preso carta e penna, ed ho provato un piacere che appariva appannato da troppi anni trascorsi a vivere come tutti gli altri.
Ho provato piacere, un piacere immenso.
Ho goduto come se avessi fatto l’amore.
Una poesia che ha rotto il gelo, spaccando in due parti ciò che resta di me, dividendo di nuovo la composizione di immagini che mi rappresenta.

Un giorno antico ho rinnegato l’esistenza di Dio
Giocando a nascondino con le mie paure
Ho combinato fra di loro equilibrio & follia
Trovando l’elisir in un bicchiere di vino

Mentre scorrevo tra le pagine di un libro in disuso
Ho scoperto della seta viola per inebriarmi
Della mia condizione di uomo perbene
Ma non tutto ciò che è oro alla fine risplende.

Ho coperto quella tela sporca che è la mia vita
Con l’immagine opaca di un fiore non colto
Per non farmi colpire dal virus decadentista
Specchio delle brame della gente di merda.

Da un bambino disabile ho imparato a sognare
Da una donna stuprata ho imparato il perdono
Ma non c’è mai giustizia e non c’è mai rimedio
Non esiste uguaglianza e non esiste l’amore.

Tra le lacrime del mondo ho imparato a vedere
Che i nemici si dissetano avvolti dall’ombra
Ed ognuno dei singoli raggi del sole
Sa far breccia nella pelle di ogni uomo che muore.

A volte penso che il diritto sia inalienabile
E che il bisogno sia qualcosa che viene pagato
Potrei essere acqua, luce, sesso morte o tramonto
Ma il mondo ha diritto o bisogno di me?

Mi sento spesso lontano da pensieri coscienti
Facendo dei miei sogni una città ideale
Accendo tutti i miei abissi con parole al neon
Il mio ego appare come Barcellona di notte.
Messaggi non convenzionali mi riportano a galla
In un mare di necropoli & false promesse
Dove regnano le ceneri dei denari malvagi
Ed ogni morte appare politicamente corretta.

E questa vita non è giusta per te
Non è giusta per me
Non è giusta per noi
Né per i nostri sogni
Semplicemente è egoista & indecente
È un male di seta o un male di niente?

In un giorno moderno ho affrontato un sospiro
Lavando le mie vesti nere & dannate
Ho visto un nuovo re nello specchio del cuore
In un cielo più elegante ho imparato a volare.

Non mi sento libero e la mia follia si sparge come polvere su tutti i miei organi, sui miei occhi, tutte le mie funzionalità vanno inevitabilmente a scemare e provo un senso di distacco totale che sa di resa.
Soffro in silenzio, come sempre.
Vorrei addormentarmi sotto l’ombra di un salice piangente, facendomi cullare dall’inebriante profumi dei tigli, diventare parte della natura che mi ha generato.
Se una perla di polline mi volasse accanto, trasportata dai monsoni, potrebbe vedere il mio cuore infranto, mentre alzo gli occhi e vedo un cielo scuro già pronto alle lacrime.
Le nuvole mi chiamano in modo leggero, come le sirene con Ulisse, ma io faccio finta di non sentirle.
In un istante piango, all’improvviso, insieme al cielo, penso a lei e mi uccido un altro po’.
Vorrei avere delle ali per volare via da questo maledetto inferno che sto vivendo, ma non le ho mai trovate, e non ho mai chiesto aiuto a nessuno.
Maledetta timidezza.
Chissà in quale momento della mia vita sono stato travolto da tutto questo, me lo chiedo spesso.

Con una nebulosa che minacciava ogni angolo del cielo tutto è apparso più semplice, con foglie cadute dagli alberi come stelle, e poche gocce di piogge acide on the road che hanno sparso ed impresso nell’aria l’odore di terra umida.
Io la respiravo, sereno, come se riprendessi il mio ossigeno sprecato.
Sembravo all’interno di un disegno, ed era fantastico.
I miei lamenti essiccati hanno lasciato il segno sulle mie lacrime, ma le ho lavate via.
Con una poesia ho ripreso parte della mia vita lasciata in sospeso.
Tutto questo però mi sta stretto, vorrei di più.
L’ho sempre voluto, quel dettaglio di troppo per provare a sfiorare la mia ideale perfezione, e la mia ideale liberazione.
Avrei bisogno di salire su un treno e di andare via, lontano da casa, lontano dal cuore, e da tutto ciò che abbia già visto.
Vorrei che fosse venerdì, per darmi lo sprint dell’inizio del weekend, e rendere suggestiva e significativa questa mia voglia di evasione.
Sogno la maestosità di Vienna e la sensibilità di Lugano.
La poesia di Bologna e la semplicità di Nizza.
L’èlite di Londra e la malinconia di Praga.
L’arroganza di Monaco di Baviera e la quiete di Helsinki.
Mi immagino senza più controllo, libero di essere, di agire, di mettere in pratica, di fare progetti, di sognare e mettermi costantemente in gioco.
Di lottare, perché per la libertà, che significa gioia, stupore, emozione, amour e successo, bisogna lottare. Ed io di questo non mi stancherò mai.

A volte ho paura che sia troppo tardi per sentirmi nuovo, ho il terrore di diventare pazzo senza motivo, e l’idea mi strugge.
Sono troppo intelligente per impazzire.
Il mondo gira intorno al sole, ed io intorno alla mia pura debolezza, con cui dovrò passare una vita.
Penso a questo e mi butto giù, inesorabilmente, sono succube di me, soffro e nessuno riesce ancora a vederlo.
E così la mia lucidità perduta, così passionale, così calda, sfocia come un fiume in mare, immenso ed oscuro, pulito e profondo.
Perdo il controllo e riesco a piangere, sperando che in questo modo l’anima da sempre incompresa faccia svanire questo maleficio.
Lo vorrei tanto, anche con un semplice fiore, come una rosa, nera, artificiale come tutte le persone vuote, che condannerà tanti cuori ad una vita felice.
Penso troppo a tutto, mi sono sempre fatto troppi problemi, non sopporto l’idea di fare del male, di non piacere agli altri, non penso mai a me, né a ciò che amo.
È la barriera che ho posto tra me e il mio vero Io.
Dovrei fare del volontariato.

Vorrei liberarmi.
Esco, vado di nuovo al mare a cercare il conforto della dolce potenza generatrice.
È il mio posto privilegiato.
Proverbiale luogo scrigno della mia epurazione, oggi queste onde sembrano evocare il male.
Mi innervosisce una scena del genere, ma resto lì a guardare gli orizzonti, il cielo è tetro e l’aria profuma di pioggia.
È tutta una netta antitesi, sono solo e mi guardo intorno, non ho bisogno di nessuno, mi sento messo a guardia di un inferno.
Mi calmo, trattengo il respiro con l’aiuto di una sigaretta, lo rilascio, accendo ancora una volta la girandola dei pensieri.
Sento che ho voglia di me, ma resto senza candide speranze, penso ai miei tortuosi ed infiniti contrasti, sorrido senza un perché ma voglio piangere, nuoto ma voglio affondare, prego ma so bestemmiare, soffoco ma riesco a parlare. Godo ma provo dolore, perdo ma so anche trovare, scrivo riuscendo a cantare, urlo senza fare rumore.
Ma sogno ancora, anche senza dormire, vivendo anche senza sognare, mi sento un filosofo irriverente.
Vorrei essere la fiamma di un incendio, che si distingue dalle altre ma insegue la sua folla, la sovrasta ed attacca i rami e le foglie più fragili.
Vive la sua vita d’impulso senza pensare al futuro, metafora della vita umana che lentamente si dissolve divenendo cenere assopita, da non svegliare più.
La fiamma cerca il mio stesso ossigeno, per poco tempo potrà avere il mondo ai suoi piedi, con la sua forza dirompente, avvelenata pian piano dal ciclo vitale e dall’ egemonia della morte che la spazzerà via. Ma fino a quel momento, nulla la distrarrà dalla sua opera di distruzione.
Una fiamma riesce a scaldare chi patisce il gelo, e può torturare lentamente chi si prende gioco di lei. Il cuore precipita, la forza si innalza, questa fiamma diventa il bene e il male al tempo stesso del proprio universo, infuria sulle viscere della natura, talvolta trasformandola.
Non si cura dell’ ecosistema, né del dolore che provoca, pensa soltanto a se stessa curando il suo accattivante senso della sua vita.
Lontana dall’acqua, che la soffoca.
Lontana dal tempo, che la estingue.
Lontana dai rimpianti, che non conosce.
È lo specchio del sogno umano.
Voglio essere così.
Libero.
Libero come il fuoco.
Libero di scappare via.
Scappare.
Via.
Lontanissimo.

Architettare una fuga è come preparare un colpo in banca, bisogna essere sicuri di non lasciare nulla al destino, nulla di intentato, di incompiuto.
Bisogna lasciare tutto in ordine, organizzare ogni dettaglio, sicuri della propria scelta, senza tracce di imprevisti o vaghe probabilità.
Deve filare tutto liscio come l’olio.
Bisogna essere in grado di distinguere fantasmi ed eroi, fantasie ed illusioni, donando un bel ricordo vivido a chi ci ha conosciuto, a chi ci ha amato, a chi ci ha amato, o anche solo semplicemente sognato. Farsi desiderare a posteriori è importante, fa parte dell’assuefazione che gli altri avranno nei nostri riguardi, o in quelli della nostra immagine.
Bisogna saper concludere il capitolo con una frase ad effetto che chiuda ogni porta, non c’è posto per i ripensamenti né per i dubbi, perché sarebbe da perdenti, e all’ego non fa certo bene.
Guardo all’orizzonte i giorni in cui ero un ragazzino, e tutto appariva diverso, lontano da giorni di plastica, dal mio clichè negativista, lontano da bugie dette ad arte e sigarette, tutto era realmente sano e spensierato quando ero un adolescente timido e sbarbato.
Poi tutto si è acceso, o spento, questione di punti di vista.
Già allora meditavo la fuga, il mio personalissimo colpo in banca (dei sogni o dei futuri rimpianti, non si sa), in un’immagine opaca e senza colori brillanti.
È passata una decade ma sono ancora qui a piangermi addosso.
Probabilmente è solo cambiata la riva dello stesso mare di sempre che osservo, spostata di qualche grado a sud-est.
La fortuna non ha mai voluto girare dalla mia parte, è semplicemente questo il problema, perché di fortuna si tratta, non di karma o destino. Anche per la poca fortuna non ho mai avuto un buon rapporto con me stesso. Ma io a questa vita cambierei la faccia e il culo, smussando gli angoli con i quali potrei ferirmi.
È un po’ come una storia d’amore, c’è bisogno di fiducia, di dialogo, di comprensione, di unità d’intenti, dovrei avere occhi e cuore solo per lei.
Eppure spesso invidio la vita degli altri. Strano vero?
Il narcisista che diventa, anzi torna, insicuro come tanti anni prima, è un controsenso fuori da ogni logica, sarebbe come vedere un fuoco nel ghiaccio, e stranamente è proprio questa l’immagine che rifletto su ogni tipo di specchio.
Un ossimoro, una figura retorica.
Sembro regredire a volte, ma lì il tempo diventa mio nemico, spogliandomi.
Prendendomi.
Dimenticandosi di me.
Sono un albero, figlio della primavera, senza più fiori o un sognatore che invecchia?
Oppure entrambi?

Sono arrivato ad una conclusione.
Un uomo è tutto e niente, è almeno il venti percento della causa delle sue lacrime, un uomo è la musica che ascolta, è ciò che prova durante un tramonto.
Un uomo è parte attiva dei suoi sogni, è la capacità di essere, selettivo, è uno schieramento romantico, troppo spesso politico.
Un uomo è il desiderio di condividere un orgasmo con la donna che ama, è una bugia dietro un sorriso, è l’ingenuità di cogliere una mela.
Un uomo è la voglia di scoperta e perfezione, è pioggia sul bagnato, è una coppia di labbra rosse come sangue, è l’evoluzione di una specie.
Un uomo è poesia e guerra al tempo spesso, è intelligenza emotiva, è debolezza di fronte ad un nudo femminile.
Un uomo è quello in cui crede, è cultura mai superficiale, è libertà mista ad eterna rivoluzione che scorre nelle vene.
Un uomo è ciò che ha scelto di essere, è il suo libro preferito, è fortuna ed audacia, è il suo tempo, è un buon vino rosso, è una doccia dopo il tradimento.
Un uomo è così fermo, mentre il mondo cambia di continuo, ma trova una nuova forma, da guardare nello specchio dell’anima e della vita vissuta.
Un uomo altro non è che un continuo romanzo di formazione, ed ognuno, nel bene e nel male, scrive il suo finale, con quella frase ad effetto che, a volte, forse una vita intera non basta a cercare.
Finire quel capitolo è il senso di una vita.
Che sia scontato o pieno di suspense, non avrà mai abbastanza importanza, purchè sia ben scritto.
Io ho scritto tantissimo nella mia vita, con un talento che probabilmente molti scrittori di successo mi invidierebbero, tuttavia non so ancora se io sia realmente un uomo.
Un uomo che ha realizzato i suoi sogni, felice.
Un uomo, felice.
Un uomo.
Restano solo i sogni, con me, ancora da realizzare.

E guardo il cielo, si è fatto buio, finalmente una stella cadente.

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