IL GIORNO DEL GIUDIZIO UNIVERSALE, di Alessio Miglietta [monologo]


Era il giorno del giudizio universale. Il tempo aveva da tempo fatto il suo tempo. Era troppo forte per morire, e troppo debole per vivere. Cercava un colpo per farla finita, perché morire così, quando si è già morti dentro, probabilmente non avrebbe fatto troppo male. Non riusciva più nemmeno a dormire. Non voleva più aspettare l'indomani per rinascere, rimandava continuamente di un giorno.
Uno per uno, ha costruito i propri fantasmi con la maestria di un artigiano, gli ha dato la vita, li ha posizionati sulla sua strada, gli ha dato delle armi per poterlo colpire. Gli è sembrato di fare sempre un passo avanti, e due indietro: le sinapsi non riuscivano a far focalizzare un'immagine che pareva ripetuta, sovrapposta su altre centinaia simili. E questa gli chiedeva di correre, e correre, per ottenere anche un solo attimo di gioia, affinché il tramonto fosse alle spalle, e l’alba si poggiasse alla base del giorno dopo, quasi a far leva. Ogni cosa gli girava intorno e lui ne faceva parte, questo è chiaro come ghiaccio. Era poco più di un origami di futuro, e forse, lo è ancora adesso. Ma il momento magico è sempre sfuggito dalle mani, ha perso il ritmo anche di questa canzone. 
Dimenticava la valigia aperta, scrigno di sogni traditi, di camicie scure e fotografie, pezzi di specchio ricongiunti, e foglie ancora verdi, come la speranza di chi ha perso l’amore e twnta in ogni modo di riappropriarsene. Non c’era più un domani per rinascere, sapeva anche lui quanto fosse ormai giunta l’ora.
Era il giorno del giudizio universale. Il tempo aveva da tempo fatto il suo tempo. Una luce accecante irradiò la terra, e sollevò le anime di tutti coloro che l’avevano vissuta, amata, resa fertile, distrutta ogni giorno, per innumerevoli generazioni. Fu così che vivi e morti si ritrovarono in un interminabile spazio, somigliante a un giardino con vista sul tramonto. I buoni sarebbero diventati stelle, i cattivi avrebbero visto dissolta la propria anima, come nell’acido. Venivano disposti in file da cento, come a un’esecuzione, e visti i risultati, potenzialmente lo era. Così gli uomini, quel giorno, scoprirono che un vero dio non esisteva, non era mai esistito. La scienza aveva avuto ragione, alla fine dei giochi. E in quel momento, un buio immenso iniziò a diffondersi per tutta la distesa, all’epoca definita Eden: un echeggiante senso di colpa di tutto il genere umano. Per aver vissuto nella guerra tutta l’esistenza, ed essersi massacrati in nome di un dio che si è rivelato una splendida suggestione. Sporcata da un rivolo di sangue. Nel cielo splendevano poche stelle, da miliardi di persone non si arrivava a mille corpi celesti. L’esperimento era miseramente fallito. Il giudizio universale è già roba per i libri di storia, e con lei il pianeta Terra.
Oggi è già domani, ed è ora di rinascere. In un’altra Terra, in un’altra vita, in un’altra solitudine; senza fare più un passo avanti, e due indietro.

AM

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